
- 1 Trazione a un braccio (oap): che cos’è la trazione monobraccio?
- 2 Trazione a una mano (oap): quali sono i muscoli coinvolti nella trazione monobraccio?
- 3 Qual è la tecnica di esecuzione della trazione a un braccio?
- 4 Quanto tempo ci vuole per imparare la trazione a un braccio?
- 5 Tutorial trazione monobraccio: quali sono gli step principali e le progressioni?
- 6 Trazione a un braccio agli anelli
- 7 Trazione monobraccio alla SBARRA
- 8 Quali sono gli infortuni della trazione monobraccio?
La trazione monobraccio o trazione a un braccio (oap) è sicuramente uno degli esercizi più ambiti, più spettacolari e sicuramente che richiede molto sacrificio, programmazione e pazienza. È un esercizio reso popolare nel mondo del calisthenics, ma non per questo esente da partecipazione in altre realtà sportive. Non è un caso incontrare professionisti di arrampicata sportiva in grado di eseguire trazione monobraccio oppure trovare ginnasti di élite in grado di eseguirla con poco allenamento.
È un esercizio che richiede una forza molto elevata in tutta la muscolatura del corpo che deve lavorare con livelli di coordinazione intramuscolare e intermuscolare sopra la media. Non è sicuramente una gestualità su cui deve focalizzarsi il principiante, anzi.
Mi piace definire una sorta di vademecum per chi vuole cimentarsi, prima o poi, in questa skill:
- Diventare maestri nei rematori;
- Diventare maestri nelle trazioni;
- Diventare una buon “scalatore di funi”;
- Avere una presa sopra la media;
- Munirsi di molta pazienza e allenare la trazione monobraccio con molta calma.
Affronteremo in modo più dettagliato questo vademecum nel proseguo di questo articolo.
Trazione a un braccio (oap): che cos’è la trazione monobraccio?

La trazioni monobraccio chiamata anche one arm pullup (oap) è una vera e propria trazione alla sbarra eseguita monolateralmente senza assistenza da parte degli arti inferiori o dell’altro braccio.
È un movimento che richiede un’ottima forza in diversi settori muscolari e allo stesso tempo ottima mobilità articolare. In particolare quest’ultima permette un corretto funzionamento della spalla, tale per cui è possibile dire che essa “lavora bene”.
Questa definizione trasmette un concetto importante: in presenza dei corretti rapporti articolari e di una cinematica articolare ottimale è possibile produrre una contrazione muscolare efficiente ed efficace.
In assenza di questo requisito, per esempio, quando una scapola non ruota correttamente, il gesto che viene eseguito è deviato (a livello coordinativo tra i diversi settori muscolari) dall’esecuzione ottimale.
La trazione ad un braccio è una skill dove il binomio mobilità articolare e sviluppo della forza assume una connotazione molto importante, soprattutto se ci si vuole allenare con continuità e imparare questo movimento in sicurezza e riducendo di molto il rischio di infortunio.
Va inoltre menzionato che la trazione monobraccio è un esercizio di specializzazione che molto spesso richiede un numero maggiore di sessioni di allenamento, un volume maggiore, intensità maggiori, un numero di esercizi principali e accessori maggiori, quindi è necessario costruire prima una struttura in grado di sopportare tutto ciò e solo successivamente sottoporla al protocollo per il raggiungimento della skill prefissata. Al momento sono riuscito a far raggiungere la trazione monolaterale a diverse tipologie di persone, con peso favorevole come per esempio chi milita sui 60 kg, sino a persone con un peso sopra la media a partire da 80 kg sino ad oltre 100 kg per più di 2 mt di altezza.
Tutto ciò che accomuna queste persone è stata la calma e sicuramente una preparazione fisica sopra la media.
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Trazione a una mano (oap): quali sono i muscoli coinvolti nella trazione monobraccio?
Come accennato precedentemente, la trazione ad un braccio è un esercizio con una elevatissima componente di sinergismo muscolare dal momento che coinvolge tutte le articolazioni della parte superiore del corpo fra cui:
- Polso;
- Gomito;
- Scapolo-omerale;
- Scapolo-toracica;
- Colonna vertebrale;
- Bacino
Passiamo in rassegna ognuno di questi punti partendo proprio dal primo e focalizzandoci sempre sulle muscolature principali (per la sua natura sinergica sarebbe molto oneroso in termini di tempo ricercare tutte le attivazioni presenti):
- Polso: in questa articolazione abbiamo un elevato numero di muscolatura coinvolta. Il numero preciso dipende anche dal tipo di grip (presa) che si utilizza in quanto, in presenza di una rotazione della presa da prona a supina (come avviene con gli anelli) segue un’inevitabile attivazione dei muscoli prono supinatori. Per esempio se appena inizia la trazione si pensa a ruotare il grip da prono a supino si attiveranno con preferenza i supinatori che preferibilmente lavorano a bene a braccio semi-teso. Mentre, man mano che ci si avvicina alla chiusura dell’avambraccio sul braccio si avrà un maggiore coinvolgimento dei supinatori che lavorano bene a gomito flesso. Lo stesso tipo di riflessione si può fare nel caso di una presa che inizia in “palmare” e finisce in “dorsale” con accento sui pronatori.
Oltre la muscolatura che governa la prono supinazione, c’è un fondamentale contributo che rappresenta la condizione “sine qua non” ossia un tassello senza il quale non è possibile pensare di cimentarsi in questo lavoro: la forza della presa. La capacità di mantenere la presa salda sulla sbarra è una qualità che si costruisce nel tempo e che può essere influenzata dal livello di mobilità articolare: basti pensare che in caso di rotatori interni molto corti sarà più difficile mantenere una presa supina. I flessori superficiali e profondi delle dita giocano un ruolo fondamentale nel mantenimento della presa, soprattutto nella fase eccentrica del movimento (discesa);
- Il gomito è sicuramente l’articolazione che subisce più traumi nell’apprendimento di questa skill, ma ci occuperemo di questa parte al termine di questo articolo. Per il momento mi limito a dire che, quando la muscolatura atta a flettere l’avambraccio sul braccio non è sufficientemente preparata, ben presto il gomito inizierà a soffrire con dei piccoli fastidi che tendono a scomparire dopo il riscaldamento sino ad evolvere il dolori insopportabili nella parte mediale e intermedia del gomito (il motivo per cui non ho menzionato la parte laterale lo vedremo successivamente). In questa sede i muscoli più coinvolti sono bicipite brachiale, brachiale, brachioradiale, alcuni muscoli di assistenza come il pronatore rotondo.
- Salendo verso l’alto arriviamo alla spalla. La trazione monobraccio è un movimento che combina:
a) estensione scapolo-omerale: ad opera principalmente di gran dorsale, gran pettorale, grande rotondo e capolungo del tricipite;
b) depressione della scapola: principalmente grazie a romboide, dorsale e trapezio;
c) rotazione caudale della scapola: agevolata da romboide maggiore e minore.
Assieme a tutti questi muscoli c’è l’attivazione sinergica dei fissatori della cuffia dei rotatori, sia rotatori interni che rotatori esterni.
- Ultima, ma non di minore importanza, la muscolatura che agisce sulla colonna e che permette di contrastare perdita di allineamento e postura fra cui retto dell’addome, obliqui interno ed esterno, trasverso e quadrato dei lombi.
Qual è la tecnica di esecuzione della trazione a un braccio?
Come già accennato la trazione monobraccio è un movimento molto fine che richiede la coordinazione di diversi settori, è possibile tuttavia riconoscere 3 fasi fondamentali:
- Sblocco;
- Raggiungimento del parallelo;
- Chiusura del movimento.
La prima è sicuramente quella più critica, in presenza di trapezi molto corti, gran dentato molto accorciato, deltoide anteriore molto rigido, sarà più difficile permettere la rotazione caudale della scapola (margine inferiore che ruota verso il basso avvicinandosi alla colonna). In questa fase tutto il peso del corpo grava su una sola spalla, in corrispondenza di una limitata mobilità scapolo-omerale (principalmente in flessione) è possibile avvertire dolore sulla sommità della spalla.
Subito dopo la depressione e la fissazione della testa dell’omero nella glenoide, avviene il reclutamento dei flessori precoci del gomito. In questa fase il bicipite brachiale e il brachiale sono in una condizione troppo sfavorevole per poter generale forza e molto del lavoro è ad opera del brachioradiale e non è un caso che proprio quest’ultimo sia oggetto di molti infortuni molto spesso cronici.
Man mano che ci si avvicina ai 100-110° gradi di estensione del gomito i flessori del gomito espletano la massima forza e aiutano l’avvicinamento alla terza fase: la chiusura. La completa chiusura dell’avambraccio sul braccio è una componente multifattoriale della trazione monobraccio che comprende, da una parte, un aumento della flessione del gomito con riduzione dell’assistenza dei flessori del gomito, ma anche l’estensione dell’omero, che inizia a soffrire la mancanza di un dorsale che ormai è a fine corsa.
Se si aggiungono limitazioni tissutali al muscolo tricipite, la chiusura diventa ancora più problematica. Un esempio lampante che si può portare alla luce riguarda le persone che eseguono molto verticalismo nella loro routine di allenamento. Il completo e frequente supporto in massima estensione del gomito può produrre rigidità capsulari che, nel lungo periodo, possono ridurre la capacità di flettere completamente l’avambraccio sul braccio sia in pronazione sia in supinazione.
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Quanto tempo ci vuole per imparare la trazione a un braccio?
Questa è la domanda che mi viene posta più frequentemente. In media la maggior parte del lavoro si spende nella fase di preparazione, cioè tutto quel percorso che vi permette di gestire senza problemi volumi di lavoro più elevati, numero di esercizi maggiori, frequenza di allenamento e intensità maggiori.
In media, in circa 2-4 anni (periodo variabile in base alla singola persona e alle sue caratteristiche) è possibile raggiungere una preparazione adeguata per specializzarsi in questo movimento. È molto frequente che, raggiunto un surplus di forza di base, il tempo necessario per completare la trazione monobraccio non sia eccessivamente lungo. In base alla velocità con cui vengono completati gli esercizi di preparazione per la trazione e per il raggiungimento del front lever, è possibile stimare a grandi linee quanto tempo si deve impiegare per raggiungere la trazione monobraccio.
Una velocità media di apprendimento maggiore comunica una maggiore capacità di reclutamento del dorsale e dei flessori dell’avambraccio sul braccio. Tre categorie di persone che godono di questo vantaggio sono gli ex nuotatori, gli ex canoisti e gli arrampicatori (“climbers”).
Tutorial trazione monobraccio: quali sono gli step principali e le progressioni?
A questo punto del nostro approfondimento sulla trazione monobraccio sorge spontaneo discutere degli step principali. È bene quindi fare un breve richiamo del “vademecum” che ho citato all’inizio di questo articolo e che ripropongo qui sotto:
- Diventare maestri nei rematori: i rematori sono sicuramente un gruppo di esercizi estremamente sottovalutato, ma che ha due importanti benefici.
- il primo è il rinforzo della presa e dei flessori dell’avambraccio sul braccio;
- il secondo è la possibilità di individuare delle asimmetrie. Questo secondo punto assume una connotazione fondamentale in un mondo dove le asimmetrie portano a scompensi e molto spesso infortuni. Se questi sono presenti, il cervello va rieducato al movimento corretto, non solo a scopo prestativo, ma anche preventivo; - Diventare maestri nelle trazioni: tutto passa da qui. Imparare a trazionare con un braccio passa inevitabilmente dall’essere abili a trazionare con due. La variazione della presa, della distanza delle mani etc. fanno sì che le articolazioni di spalla e gomito, per esempio, vengano sollecitate ad angolazioni differenti e potenzialmente più stressanti. Una programmazione corretta e graduale produrrà con il tempo il tanto ricercato “condizionamento articolare”. È bene menzionare che non tutte le tipologie di trazioni sono adatte a tutti: trazioni larghe, larghe dietro la testa, trazioni in squadra sono sconsigliate a chi non possiede una buona articolarità della spalla. In questo frangente vi sono due opzioni: saltare questi esercizi oppure risolvere le limitazioni evitando che si ripresentino. Ovviamente la soluzione consigliata ricade sempre sulla seconda scelta;


3. Diventare una buon “scalatore di funi”: la salita alla fune è sicuramente il tassello mancante fra le trazioni a due mani e il lavoro monobraccio in quanto esse stesse sono una parziale salita monobraccio. Per la natura del movimento e l’alternanza degli arti superiori, la salita alla fune si presta bene come passaggio graduale in avvicinamento a movimenti con escursione articolare maggiore e, per forza di cose, anche stress articolare maggiore. Va menzionato che il tipo di presa (radiale o longitudinale) rappresenta un ottimo modo per preparare tutta la muscolatura che si inserisce nella parte mediale del gomito (troclea);
4. Avere una presa sopra la media: in parallelo al lavoro della fune, è sempre una buona cosa dedicare un po’ di tempo al rinforzo locale di tutte le strutture connettive e muscolari coinvolte nella presa, lavorando su tutti i range di movimento, dalla flesso-estensione del polso, alla prono-supinazione sino alla deviazione radiale-ulnare;
5. Munirsi di molta pazienza e allenare la trazioni monobraccio con molta calma: il raggiungimento di questa skill deve sussurrare una sola parola: PAZIENZA. State lavorando con tutto il peso del corpo su articolazioni che non sono fatte per questo tipo di stress. È necessario, quindi, programmare l’allenamento in modo diligente e dare ai tessuti il tempo di adattarsi. In questa ultima fase, che è la più specifica, ci sono diversi metodi che si possono utilizzare fra cui il metodo dello scalatore, il metodo della puleggia o anche le loopbands. Tutti questi metodi sono lavori specifici e come tali producono una elevata attivazione nervosa e un elevato stress meccanico ai tessuti coinvolti. Pertanto è una buona cosa procedere in modo graduale e non limitarsi a carichi sub-massimali o massimali ma utilizzare durante la settimana anche lavori di forza generali, dalle trazioni zavorrate (dove lo stress si divide equamente su entrambi i lati), circuiti di trazioni etc. Solitamente, in base alle debolezze di chi esegue la trazione monobraccio, è possibile inserire del lavoro accessorio per i punti carenti, che possono riguardare una parte del movimento (per esempio sblocco o chiusura) e/o tutto il range di movimento.
Man mano che si diventa più forti è inoltre possibile giocare sulla tipologia di presa, iniziando da un lavoro che esplora tutta la prono supinazione (come avviene agli anelli) sino ad un lavoro con grip fissato (come avviene alla sbarra).
Trazione a un braccio agli anelli

Da molti considerate le trazioni più facili hanno un grosso vantaggio: reclutano tutti i flessori dell’avambraccio sul braccio e rappresentano quindi un lavoro di condizionamento più completo. Data la sinergia di molteplici flessori del gomito, rappresentano la variante più facile da imparare.
Trazione monobraccio alla SBARRA
A differenza degli anelli, la sbarra, a meno di non ricercare una rotazione del corpo intorno alla spalla , non permette di modificare il grip utilizzato in partenza. Solitamente quindi la presa utilizzata nella posizione iniziale (sospensione) è la stessa della posizione di arrivo (chiusura).
Nella stragrande maggioranza dei casi le trazioni monobraccio alla sbarra vengono presentate con una presa a martello oppure con una presa di tipo dorsale (prona). Soprattutto la seconda non può beneficiare dell’attivazione del muscolo bicipite brachiale, in quanto la presa prona stessa lo mette in condizioni di maggiore svantaggio meccanico. Di conseguenza il brachioradiale dovrà supplire maggiormente alla mancanza di questo muscolo sinergico.
Quali sono gli infortuni della trazione monobraccio?
Nella prima parte di questo articolo ho menzionato due importanti tipologie di sovraccarico:
- Infiammazione del condilo mediale (epitrocleite);
- Sovraccarico funzionale del brachioradiale.
Nel primo caso i parametri dell’allenamento, come per esempio intensità e volume, sono la causa principale di infortunio.
Se, inoltre, nello stesso programma di allenamento sono presentati altri esercizi che possono potenzialmente sovraccaricare le stesse strutture, è logico pensare che la zona affetta non ha mai il tempo di recuperare (per esempio la presenza di trazioni esplosive e/o di muscle up dinamici).
È fondamentale quindi un preciso calcolo del volume settimanale sui piani di lavoro per ridurre al minimo il rischio di traumi da sovraccarico.
Nel secondo caso, si associa erroneamente il dolore del brachioradiale all’epicondilite, che, invece, è propria dei muscoli che estendono il polso e le dita, piuttosto che coadiuvare la flessione dell’avambraccio sul braccio. Anche in questo frangente, un allenamento non adeguato su un fisico non sufficientemente preparato rappresenta la causa principale di infiammazioni in questo distretto.
Mi sento comunque in dovere di non fare catastrofismo, sottolineo invece che non esistono esercizi che creano infortunio a priori, ma solo fisici predisposti all’infortunio.

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